C’erano delle VOLTE ...e ci sono ancora
Sabato 3 dicembre 2022 ore 16:00 presso l’Auditorium della BCC, Via Mazzini n°33, si terrà la presentazione del libro “QUARTETTO D’ARCHI – ANTICHI PONTI IN MURATURA NELLE VALLI DEI GONZAGA”. Il volume nasce dalla volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica alla preservazione dei Beni Comuni del nostro territorio. Questi patrimoni, spesso nascosti e meno noti ai più, com’è il caso dei tre ponti storici del Comune di Rivarolo Mantovano, hanno infatti bisogno di essere valorizzati, riacquistando importanza nella coscienza generale dei cittadini come fruitori del proprio territorio.
A seguire, alle 17:30, presso Palazzo del BUE, Via Marconi n°44, sarà inaugurata la mostra "C’erano delle VOLTE ...e ci sono ancora".
Grazie a interventi di restauro ci si impegna a conservare i ponti storici, monumenti importanti del nostro territorio dal punto di vista culturale e strategico. Infrastrutture che percorriamo quotidianamente ma spesso nella disattenzione dettata dai ritmi della vita moderna.
C’erano delle VOLTE è una mostra incentrata sul restauro dei ponti in muratura. Avremo tre esperienze a confronto:
• i ponti del Comune di Rivarolo Mantovano, Due Ponti, Valcasara e Ponterotto;
• il Ponte di Maria Luigia sul Taro, in provincia di Parma;
• il Ponte Visconteo di Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona.
La mostra rimarrà aperta fino a domenica 29 gennaio 2023.
Sarà possibile visitare la mostra il sabato e la domenica dalle 15:00 alle 18:00.
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Via G. Marconi 44,
46017 Rivarolo Mantovano (MN)
Tel. 0376 151 0584 - 0376 151 0576
Il restauro dei beni comuni: Ponti storici
Il restauro dei beni comuni: Palazzo pretorio
Nelle mura dei Gonzaga
Nelle valli dei Gonzaga
NELLE VALLI DEI GONZAGA
Luoghi, palazzi e monumenti storici
RIVAROLO MANTOVANO
Rivarolo Mantovano è uno degli esempi di progettazione e costruzione della città ideale che ha ispirato nel ‘500 Vespasiano Gonzaga. Tra gli stupendi luoghi che non potete non visitare, ricordiamo: Il Palazzo Pretorio e la Torre Civica, storica sede delle Magistrature urbane e della Frumentaria, il palazzo è stato edificato sul finire del ‘500 ed ingloba la quattrocentesca porta settentrionale, nota anche come Torre dei Sacchi; La Sinagoga Ebraica, situata al primo piano dell’edificio che ospitava anche la Scuola ebraica e la casa del rabbino; Palazzo Penci, edificio che manifesta nelle volumetrie e nella sobrietà del portico in laterizio bugnato, voltato a crociera ribassata, fattezze di maniera tardo rinascimentale; La Cinta Muraria, tracciata da Vespasiano Gonzaga sul finire del ‘500 per racchiudere entro il perimetro murario il Centro Storico. Conserva ancora oggi le tre porte urbane: Porta Mantova, Porta Parma e Porta Brescia; la Chiesa di Santa Maria Annunciata, edificata a tre navate a partire dal 1416 su un oratorio preesistente, che accoglie il corpo del beato Sisto Locatelli, frate francescano, dichiarato compatrono della comunità rivarolese; il Palazzo del Bue, che conserva il nome della famiglia “del Bue”, qui residente con un “Giovanni del Bue quondam Angelo”, censito nel Catasto Teresiano, quale proprietario della “Casa con orto”.
CENTRO STORICO
Nella seconda metà del ‘500, Vespasiano Gonzaga pianifica l’ampliamento del Castrum Riparoli, quintuplicandone le dimensioni. La rifondazione è riferibile all’ordinanza marchionale dell’estate 1567: “… si fa pubblica grida bando et comandamento, che nessun cittadino esente et privilegiato, abitante nelle ville et luoghi sottoposti al Marchionato di Sabbioneta, … non olzino di star fuori sotto la pena della perdita della immunità et esenzioni per le teste”. Nei decenni successivi il Borgo prenderà forma con nuovi tracciati viari, racchiusi da una cerchia muraria di oltre 2 km dotata di 3 porte urbane, ma soprattutto con la Piazza porticata sulla quale prospetta il Palazzo Pretorio. L’impianto urbanistico riferibile all’ampliamento vespasianeo presenta una giacitura nord-ovest sud-est che asseconda la centuriazione romana, ancora riscontrabile nei tracciati agrari circostanti, ed ingloba alcune preeesistenze come il Vicolo della Chiesa, probabile permanenza di un castrum tardo antico.
LA CINTA MURARIA – PORTA MANTOVA
Il Centro storico di Rivarolo è racchiuso entro il perimetro murario, tracciato da Vespasiano Gonzaga sul finire del ‘500. Attuato dai successori, Giulio Cesare e Scipione nei primi decenni del ‘600, conserva le tre porte urbane ad un fornice serrato da torrioni. Un circuito murario di carattere daziario, ma anche difensivo nei confronti della piaga del brigantaggio: ancora nel XVI secolo, ai dispacci dei vicari che, da Rivarolo, lamentavano rapine, saccheggi e omicidi compiuti da bande armate di facinorosi, i governanti replicavano con l’emanazione di taglie e l’organizzazione di squadre a cavallo affidate a Commissari di Campagna che operavano con “potestas ad modum belli et per horas”, cioè applicando giustizia sommaria, “sine strepitu et figura judicii”.
L’aspetto attuale è riconducibile agli interventi operati negli anni ’20 del Novecento che hanno eliminato l’originario coronamento a falde spioventi. L’interno presenta una successione di ambienti collegati da un passetto.
LA CINTA MURARIA – PORTA BRESCIA
LA CINTA MURARIA – PORTA PARMA
LA SINAGOGA EBRAICA
Situata al primo piano dell’edificio che ospitava anche la Scuola ebraica e la casa del rabbino, la Sinagoga si conserva nelle fattezze derivate dagli interventi operati nei secoli XIX e XX che ne hanno mutato l’originaria destinazione d’uso: da luogo di culto a sede della “Società di mutuo soccorso tra gli operai rivarolesi” a pertinenza residenziale. L’ambiente principale, ovvero la Sala delle adunanze, come da consuetudine, non affaccia sullo spazio pubblico, ma è celata dalla cortina edilizia porticata prospettante Piazza Finzi. Raggiungibile da una scala esterna, è costituita da un grande vano illuminato naturalmente che conserva ancora, sulla parete orientale, tracce dell’Aron, l’altare ebraico. La Sala presenta pareti decorate a stucco e tempera ed è conclusa da una volta a padiglione in canniccio stuccato nella quale è inserito un finto lucernario. Si è conservato il matroneo, riservato alle donne, raggiungibile da una scaletta situata sul lato opposto della porta di ingresso.
PALAZZO PENCI
L’edificio manifesta nelle volumetrie e nella sobrietà del portico in laterizio bugnato, voltato a crociera ribassata, fattezze di maniera tardo rinascimentale.
L’ambizioso progetto originario è attribuito dal Tiraboschi alla volontà di Andrea Penci, prelato presso la Sacra Rota romana, che: “non godendo salute in quel clima, si risolse di tornarsene al suo Rivarolo, ove pieno delle idee delle fabbriche Romane sussidiato da suo fratello il Conte Domenico fece erigere il palazzo Penci nella forma grandiosa e bella, che tutt’ora possiamo rilevare”. Edificato sul finire del XVII secolo, rimase tuttavia incompiuto. La Famiglia Penci, favorita dai Gonzaga di Bozzolo e Guastalla per i servigi resi al casato, ne seguì infatti le sorti: con la fine della dinastia, da Rivarolo si spostò a Mantova e qui si estinse ai primi dell’800. Nei secoli, le successive dominazioni, dalla napoleonica all’asburgica, depredarono il Palazzo che ha subito ampi rimaneggiamenti interni nel corso del ‘900.
IL PALAZZO PRETORIO E LA TORRE CIVICA
Storica sede delle Magistrature urbane e della Frumentaria, il prestito del grano collegato al Monte di Pietà, il Palazzo è stato edificato, sul finire del ‘500, a ridosso della cerchia muraria del Castrum Riparoli. Di questo, ingloba la quattrocentesca porta settentrionale, adibita a Torre civica dopo gli interventi di Vespasiano Gonzaga; nota anche come Torre dei sacchi (il pubblico ammasso del grano), ha assunto il ruolo di Torre delle ore con l’aggiunta dell’altana seicentesca e l’inserimento dell’orologio (1783). Il Palazzo, rimaneggiato internamente per le destinazioni d’uso succedutesi nei secoli, arrivando ad ospitare nel ‘900 la scuola elementare, una sala cinematografica e infine la biblioteca, conserva negli esterni le fattezze originarie. Ignoto il progettista; tuttavia il cornicione a mensole inginocchiate potrebbe ricondurre all’opera di Giuseppe Dattaro, per i ruoli che l’architetto cremonese ha rivestito nelle corti di Vespasiano e Vincenzo Gonzaga sul finire del ‘500.
PIAZZA GIUSEPPE FINZI
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Storico mercatale, la Piazza deve l’assetto attuale a Vespasiano Gonzaga che, sul finire del Cinquecento, la pianificò contestualmente all’ampliamento del Borgo medievale. Portata a compimento solo nel XVII secolo, assunse la denominazione di “Piazza grande” sino ai primi Novecento. Le sue eccezionali dimensioni (100 metri x 35 c.a) concorrono, con le quinte porticate e l’impercettibile geometria trapezoidale, a valorizzare gli storici edifici che la costellano: in primis la quattrocentesca Torre civica, originaria porta del castrum Riparoli, col Palazzo pretorio; la Sinagoga ebraica e Palazzo Penci. Lo spazio urbano venne strutturato in funzione della valorizzazione di Palazzo Pretorio, ricorrendo ad artifici scenografici tardo rinascimentali: le quinte porticate della Piazza divergono, infatti, “aprendosi” per assumere la Torre preesistente, quale asse prospettico dello spazio pubblico antistante e contestuale apparente asse di simmetria del neonato Palazzo.
CHIESA DI SANTA MARIA ANNUNCIATA
Edificata a tre navate a partire dal 1416 su un oratorio preesistente, la chiesa deve il suo aspetto attuale agli interventi di ristrutturazione operati nei primi anni dell’Ottocento. A questi ultimi si deve la sopraelevazione della navata centrale e la definizione della facciata ad opera dell’architetto cremonese L.B. Bianzani. Le otto cappelle laterali ospitano tele di scuola cremonese e mantovana dei secoli XV-XVIII, un’ancona in legno dorato dedicata alla Madonna del Rosario e il lacerto di una lastra tombale longobarda dell’VIII secolo. La cappella di San Giovanni Evangelista accoglie, sotto la mensa dell’altare, il corpo del beato Sisto Locatelli, frate francescano, dichiarato compatrono della comunità rivarolese. Nella cantoria di sinistra del presbiterio è ospitato un organo Lingiardi, datato 1882. Esternamente è presente la Torre campanaria che conserva, nella parte basale, decorazioni in cotto della seconda metà del XV secolo.
PALAZZO DEL BUE
Il Palazzo conserva il nome della famiglia “del Bue”, qui residente con un “Giovanni del Bue quondam Angelo”, censito nel Catasto Teresiano, quale proprietario della “casa con orto”, situata all’angolo delle vie Borgonovo e della Piazza. Il fabbricato presenta le fattezze di un Palazzo residenziale urbano, databile tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, con ambienti di rappresentanza al piano terra ed ampio androne centrale che immette ad uno spazio tergale, un tempo destinato a giardino. Nell’angolo di nord-ovest, una sala quadrata, voltata a vela, ne indica la probabile originaria destinazione a Cappella di famiglia. Residenza dei “del Bue” e poi dei Ramaroli, nella seconda metà del Novecento il Palazzo fu occupato dalla Metallurgica rivarolese, che adibì gli ampi saloni del piano terreno a magazzino del prodotto finito. Sul finire del secolo, un Piano di recupero ha restituito il piano terra agli “antichi splendori”, destinando il piano superiore a residenze.
La Comunità Ebraica
La Comunità Ebraica Rivarolese
Le prime notizie ufficiali sulla comunità ebraica rivarolese risalgono al 1522, quando i fratelli Joseph, Salomon e Lazzaro Levi ottennero dai Gonzaga una "Condotta" per aprire un banco di prestito a Rivarolo. Il ritrovamento di alcune lapidi nel vecchio cimitero ebraico ubicato all'interno delle mura, nell'attuale via Cavour, confermano l'antica presenza ebraica nel paese. agli inizi del 1800, per le leggi napoleoniche, un secondo cimitero sorse fuori le mura nei pressi di Porta Mantova. Quest'ultimo fu demolito negli anni sessanta. la famiglia più importante della comunità fu quella dei Finzi. A Giuseppe Finzi , patriota risorgimentale, nato a Rivarolo nel 1816, è attualmente dedicata la piazza del paese. A differenza di altri luoghi in cui gli ebrei venivano confinati nei ghetti, a Rivarolo potevano risiedere liberamente in ogni zona del paese. La presenza ebraica si estinse definitivamente nel 1944 con la deportazione e la conseguente scomparsa di Aldo Milla, l'ultimo ebreo rivarolese. La comunità alla fine del '800, si era trasferita nel milanese.
Rivarolo - il Centro storico
LOCALITÀ RIVAROLO – centro storico
Nella seconda metà del ‘500, Vespasiano Gonzaga pianifica l’ampliamento del medievale Castrum Riparoli, quintuplicandone le dimensioni. La rifondazione è riferibile all’ordinanza marchionale dell’estate 1567: “... si fa pubblica grida bando et comandamento, che nessun cittadino esente et privilegiato, abitante nelle ville et luoghi sottoposti al Marchionato di Sabbioneta, … non olzino di star fuori sotto la pena della perdita della immunità et esenzioni per le teste”. Nei decenni successivi il Borgo prenderà forma con nuovi tracciati viari, racchiusi da una cerchia muraria di oltre 2 km dotata di 3 porte urbane, ma soprattutto con la Piazza porticata sulla quale prospetta il Palazzo Pretorio.
L’impianto urbanistico riferibile all’ampliamento vespasianeo presenta una giacitura nord-ovest sud-est che asseconda la centuriazione romana, ancora riscontrabile nei tracciati agrari circostanti, ed ingloba alcune preeesistenze come il Vicolo della Chiesa, probabile permanenza di un castrum tardo antico, evolutosi nell’insediamento longobardo dei secoli VII e VIII (vedi immagine sottostante).
Il toponimo antico, nella versione autoctona, cioè dialettale (Rivaröl föra), deriva infatti dalle diciture con le quali il Borgo è menzionato nei documenti tardo medievali: Rivarolo de Foris o de Fora. Se accettiamo l’ipotesi che l’estensione de Fora sia la possibile e probabile mutazione da un originario de Fara, possiamo immaginare un trascorso altomedievale per il Borgo. Qui si annota come il vocabolo “fara” sia il termine più importante dell’organizzazione tribale longobarda che indica non solo l’insieme delle persone unite da vincoli di parentela, ma anche il corpo militare costituito a partire dai membri di una “fara” ed infine il territorio sul quale ogni singolo gruppo tribale di migranti armati si era stabilito tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, spesso sulla base di concessioni reali, dando origine alle arimannie. Con quest’ultima accezione il termine “fara” entrò nella toponomastica, ad indicare i luoghi dello stanziamento longobardo, spesso in contrapposizione al termine “plebs”, utilizzato per indicare i luoghi abitati dagli italici sottomessi.
La congettura dei trascorsi longobardi di Rivarolo è d’altra parte supportata dal lacerto di lastra tombale dell’ottavo secolo, proveniente dalla Pieve di Santa Maria (l’antica chiesa plebana di Rivarolo), ora nella Parrocchiale di Santa Maria Annunciata e dalla sopravvivenza dei toponimi fondiari, di chiara origine longobarda, che ancora connotano il territorio circostante. Relitti linguistici come Barco (da Bairg, riparo, rifugio), Breda, (da Braida, terra comune suburbana), Lama, Lamari (da Lama, stagno o ristagno d’acqua), Gora (da Wora, corso d’acqua), Ronchi (da Rono, tronco d’albero), ma anche Gazzo (da Gahagi, bosco recintato, tenuta di caccia), Regona (da Regana, divinità delle acque), Lanca (da Hancha, bassura acquitrinosa), Landa (da Landa, terra) e lo stesso nome attribuito al rio che costeggia il Borgo, il Cavo Delmona, (composito da Adel, nobile, e Helm, elmo, protezione) provengono direttamente dall’occupazione militare longobarda dei secoli VII e VIII.
Il castrum medievale. Se è ipotizzabile una Rivarolo tardo antica e longobarda, bisogna tuttavia ammettere che il Borgo fa ufficialmente la sua comparsa solo a partire dalla fine dell’XII secolo. La carenza di fonti documentarie precedenti non è tuttavia interpretabile come un’assenza: la Curtis Riveriola del IX secolo, anche se riferibile ad un vasto latifondo che si estendeva tra Rivarolo e Cividale, riceve probabilmente il toponimo proprio in riferimento al centro fortificato, così come accade ad altre corti elencate nel Breve de terris, l’inventario delle proprietà terriere del Monastero bresciano di Santa Giulia dal quale la curtis dipendeva.
Ad ogni modo, dal XII secolo le fonti documentarie si infittiscono: ben quattro Privilegi papali, rilasciati ai vescovi di Cremona tra il 1124 e il 1187, citano, tra le ecclesias sottoposte alla giurisdizione della Diocesi, l’ecclesia ... de castro Ripariolo, a dimostrazione di come il Borgo abbia assunto una strutturazione precisa: quella del villaggio fortificato con la Comunità raccolta attorno all’edificio religioso.
Del Castrum Riparoli sopravvivono le permanenze dei tracciati viari che in parte ricalcano quelli dell’insediamento bizantino, prima, e longobardo, poi: nel tessuto viario attuale, si riconoscono per l’andamento assecondante i punti cardinali. È anche possibile che la nuova cerchia muraria, edificata presumibilmente verso la fine del X secolo, sia stata tracciata includendo aree inedificate, destinate, in un primo tempo, ad orti urbani.
Dal castrum all’oppidum. Solo a partire dalla metà del Quattrocento troviamo una variazione della locuzione toponomastica: nell’accordo siglato a Milano il 27 settembre 1445, tra il Filippo Maria Visconti e Ludovico Gonzaga ed ancora nel Diploma di investitura imperiale dell’aprile 1478, rilasciato allo stesso marchese di Mantova, il Borgo è denominato Castrum Riparoli cum Rocca. Ai fini della ricostruzione storica delle sue vicende urbanistiche, la variazione non è di poco conto perché indica, probabilmente, che, in un momento imprecisato, tra il XIV ed il XV secolo, la cinta delle mura medievali è stata integrata da una rocca. La fortificazione, ritenuta abbastanza importante da essere nominata nei documenti ufficiali, è con ogni probabilità la stessa che la storiografia successiva e la tradizione popolare tramandano col termine de “il castello”, demolito da Vespasiano Gonzaga dopo il 1567. L’ipotesi localizzativa più probabile ci sembra quella dell’isolato compreso tra la circonvallazione sud e le vie Battisti, Mazzini e Nazario Sauro; localizzazione che giustificherebbe lo “spanciamento” del tratto centrale del circuito murario attuale e la stessa denominazione di Via del Castello assegnata nel Catasto teresiano alle attuali Vie Filzi e Battisti. É inoltre possibile ipotizzare che Vespasiano, quando demolisce la rocca, negli anni ’70 del Cinquecento, pensi alla sua riedificazione in forma di palazzo signorile, struttando il fronte prospiciente Piazza Grande. Proposito rimasto inattuato per la morte del Duca, ma ripreso un secolo dopo dai Conti Penci, non a caso osteggiati dai nuovi signori, forse memori dei propositi dell’illustre avo. A sostegno di questa ipotesi si possono citare Sabbioneta e Bozzolo, dove Vespasiano conduce analoghe operazioni di rinnovo urbano: la Piazza è il luogo deputato alla rappresentazione delle Istituzioni, e lì, su fronti opposti, si elevano i palazzi del Principe e quello della Comunità. É presumibile che a Rivarolo sia mancato il tempo per portare a compimento un’analoga visione urbanistica: il suo ideatore ed artefice morirà il 26 febbraio del 1591 lasciando la città incompiuta.
La città vespasianea. Nella seconda metà del Cinquecento, Vespasiano Gonzaga Colonna pianificò l’ampliamento del Castrum Riparoli, quintuplicandone le dimensioni. Vespasiano portò così a compimento la politica di concentrazione della popolazione rurale nei borghi storici, soggetti alla sua giurisdizione, iniziata qualche anno prima a Sabbioneta. Nei decenni successivi Rivarolo prenderà forma con nuovi tracciati viari, racchiusi da una cerchia muraria di oltre due chilometri di sviluppo, dotata di tre porte urbane. Un circuito murario di carattere prevalentemente daziario, ma anche difensivo nei confronti della piaga del secolo: il brigantaggio.
L’impianto urbanistico riferibile all’ampliamento vespasianeo si distingue dal castrum medievale perchè presenta una giacitura leggermente ruotata, con andamento nord-ovest sud-est, assecondante la centuriazione romana, ancora riscontrabile nei tracciati agrari circostanti. La preoccupazione di allontanare correttamente le acque meteoriche aveva imposto di assecondarne la regimazione impostata dagli antichi colonizzatori romani secondo i tracciati della cenruriazione, facendole defluire nel fosso della cinta magistrale. Ancora oggi, ancorchè un collettore fognario abbia preso il posto della “fossa”, il sistema funziona su queste basi.
Contestualmente venne definita la configurazione di Piazza Finzi, denominata in origine Piazza Grande, che venne strutturata in funzione della valorizzazione del neonato Palazzo Pretorio, senza trascurarne il carattere di storico mercatale, funzione che conserverà anche nei secoli a venire: ricorrendo ad artifici scenografici tardo rinascimentali le quinte porticate della Piazza divergono, infatti, “aprendosi” per assumere la Torre preesistente, quale asse prospettico dello spazio pubblico antistante e contestuale apparente asse di simmetria del neonato Palazzo. Quest’ultimo, storica sede delle Magistrature urbane e della Frumentaria (il prestito del grano collegato al Monte di Pietà), fu edificato a ridosso della cerchia muraria del Castrum Riparoli inglobandone la quattrocentesca porta settentrionale, adibita a Torre civica dopo gli interventi di Vespasiano; la preesistenza, nota anche come Torre dei sacchi (il pubblico ammasso del grano), ha assunto il ruolo di Torre delle ore con l’aggiunta dell’altana seicentesca e l’inserimento dell’orologio (1783). Il Palazzo, rimaneggiato internamente per le destinazioni d’uso succedutesi nei secoli, arrivando ad ospitare nel Novecento la scuola elementare, una sala cinematografica e infine la biblioteca della Fondazione Sanguanini, conserva negli esterni le fattezze originarie. Se il progettista, come spesso accade, rimane ignoto, tuttavia il cornicione a mensole inginocchiate potrebbe ricondurre all’opera di Giuseppe Dattaro, per i ruoli che l'architetto cremonese ha rivestito nelle corti di Vespasiano e Vincenzo Gonzaga, del quale è stato prefetto delle fabbriche ducali nei primi anni ’90 del Cinquecento.
Oggi il Centro storico di Rivarolo è ancora fisicamente delimitato dal circuito murario gonzaghesco del XVI secolo che cinge un abitato dove prevale la funzione residenziale. I suoi 23 ettari di estensione, sono occupati da isolati urbani di grandi dimensioni destinati ad ospitare, in origine, le aziende agricole e le botteghe artigiane dell’operoso Borgo che, ancora nel 1879, a quattrocento anni dalla sua “rifondazione”, registrava 6.213 abitanti.